La gestione della cronicità in Regione Lombardia. È tempo di bilanci e di ripensamenti
di A. Bonaldi
A due anni dall’approvazione della prima delibera che dava il via al progetto, cosa è successo? Come è stato accolto dalla gente e dai medici? Nella primavera dello scorso anno sono state spedite oltre 3 milioni di lettere che invitavano i pazienti affetti da una patologia cronica a scegliere un clinical manager incaricato della redazione del Piano di Assistenza Integrata (PAI). Al 31 dicembre 2018, il 90% delle persone destinatarie della lettera ha declinato l’invito
Dopo che le cose sono successe è fin troppo facile dire: io l’avevo detto! Ma tant’è. Un anno fa, sollecitati da un gruppo di medici di medicina generale che afferiscono alla nostra associazione (Slow Medicine), con molto garbo, c’eravamo permessi di scrivere tramite questo giornale, all’Assessore alla Sanità della Regione Lombardia, per proporgli di modificare alcuni aspetti critici relativi al modello di presa in carico del paziente cronico, adottato dalla Regione.
Il modello veniva esibito come una vera e propria rivoluzione per la sanità lombarda ma, a parte le difficoltà applicative che hanno richiesto ben sette delibere, per oltre 200 pagine di istruzioni e indicazioni operative da cui non è facile districarsi, fin dal suo nascere erano ben palesi i limiti d’impostazione generale del modello.
Esso, infatti, non tenendo conto della letteratura e delle esperienze maturate in questo ambito a livello internazionale si presentava come una netta involuzione rispetto allo sviluppo del sistema delle cure primarie. Un modello di stampo efficientista, farraginoso, centrato su aspetti formali e organizzativi, su controlli, visite e prestazioni standardizzate, trascurando di fatto la relazione tra paziente e medico di fiducia.