Coradazzi A. De mãos dadas. O olhar da slow medicine para o paciente oncológico. MG Editores São Paulo 2021. Pg. 200

 

Recensione di Marco Bobbio

L’attuale approccio ai tumori utilizza spesso una terminologia militare. La guerra al cancro. Ho vinto la mia battaglia contro il tumore. Il cancro va aggredito con la chemioterapia. La migliore difesa è la prevenzione.  Sconfiggere il cancro si può. Una volta formulata la diagnosi i pazienti entrano in un tunnel di esami, visite, controlli, terapie che sempre più spesso portano alla remissione o alla guarigione dal tumore, ma ancora tante volte non sono in grado di evitare il decesso. Come se la complessità di ogni singolo paziente potesse ridursi a intraprendere indistintamente la cura indicata dalle linee guida, senza tener conto delle aspettative, dei desideri, delle abitudini di vita di quel singolo paziente.

 

Ana Coradazzi, medica brasiliana, specialista in oncologia clinica e cure palliative, responsabile della equipe di Oncologia Clinica presso la Facoltà di Medicina di Botucatu, coordinatrice di Slow Medicine Brasil, nel libro De mãos dadas. O olhar da slow medicine para o paciente oncológico (Tenersi per mano. Slow medicine per i malti oncologici) riflette sulla sua esperienza clinica, partendo dal caso di un signore 87 anni a cui viene diagnosticato un carcinoma polmonare a cellule squamose con metastasi al fegato e alle ossa e che viene sottoposto a innumerevoli indagini diagnostiche e trattamenti, costringendolo a consumare gli ultimi quattro giorni di vita in letto di terapia intensiva intubato, collegato a un respiratore e con infusione continua di antibiotici e di farmaci per mantenere stabile la pressione sanguigna. “Ci sono molte storie di malati di cancro – commenta Ana Coradazzi – nei quali l’ultima fase della vita è stata devastata dall’attuale medicina fast. Persone la cui situazione clinica non aveva alcuna possibilità di essere modificata in modo sostanziale o anche solo tenuta sotto controllo, che sono stati inghiottiti da cure, interventi, esami indicati da protocolli standard che non erano stati scritti per loro. Queste situazioni tristi – e persino tragiche – sono il risultato di una sorta di crudeltà dei team sanitari, disattenti alle esigenze del singolo paziente”.

 

La dottoressa Coradazzi con una prosa lineare, ricca di suggestioni e di empatia, applica i concetti che ispirano Slow Medicine al suo campo professionale individuando una “Slow Oncology che non è limitata a offrire buone strategie per curare il cancro, ma cerca di trasformare la malattia in un percorso da intraprendere con il paziente. Il modo per farlo implica un’attenzione continua a tutte le dimensioni del paziente, comprese quelle che vanno oltre il suo corpo. Si tratta di affrontare una cura che non sottovaluti gli aspetti comuni del benessere, quali l’alimentazione, l’igiene personale, il sostegno emotivo, la conservazione dell’autonomia, la sessualità, le relazioni interpersonali. In altre parole, una cura che permetta alla persona di vivere la malattia senza smettere di essere se stesso”

 

Prendendo spunto dal libro di McCullough My mother your mother, che rappresenta ancora oggi un punto di riferimento su come affrontare in modo slow gli ultimi anni di vita, Ana Coradazzi ripercorre in 8 fasi la vita di una persona con un tumore; dalla diagnosi che sconvolge la vita di un’intera famiglia, all’inizio delle terapie, alle difficoltà che insorgono inaspettate, fino ad affrontare il decadimento e il decesso. Ogni fase è impreziosita da numerose storie cliniche che racchiudono i drammi e le speranze delle persone colpite da un tumore.

 

Se McCullough rivolgeva i suoi consigli agli anziani Coradazzi si rivolge a persone di ogni età, accomunate da una malattia che può essere mortale “mostrando come l’adozione di una strategia slow può avere un impatto sorprendente nella vita di quelle persone. La mia intenzione è essenzialmente aiutare i malati di cancro e le loro famiglie a promuovere cure più adatte, rendendo l’ultimo viaggio prezioso, significativo, sensato e sereno”.