Curare le coronarie o il paziente

Andre Kumar è un medico che lavora nel Pronto Soccorso dell’Università di Stanford. Un giorno viene chiamato per visitare un paziente e, prima di entrare nella stanza visite, dà un’occhiata alla cartella: un uomo di 77 anni con storia di malattia coronarica si presenta con nausea, dolore al torace, un valore molto elevato di troponina nel siero (un enzima che dimostra la presenta di un danno in atto del muscolo cardiaco). “Un caso da manuale” dice allo specializzando “si tratta di una angina instabile”; questo significa che il paziente deve esser ricoverato in Unità Coronarica dove gli verrà messa una flebo per infondere i farmaci, verrà sottoposto a una serie di prelievi per eseguire esami di laboratorio e verrà sottoposto probabilmente alla coronarografia per valutare se la sua situazione è cambiata dall’ultimo esame. Quando i due medici entrano nella stanza si trovano di fronte un signore che dimostra 10 anni di più e non manifesta alcuna reazione mentre la figlia e la moglie raccontano la sua storia. Dall’ultimo ricovero passa le giornate su una sedia a rotelle anche perché i dolori al torace sono diventati più frequenti. Un mese prima era stato ricoverato per gli stessi sintomi, aveva eseguito una coronarografia che non aveva dimostrato l’utilità di eseguire un’angioplastica ed era stato dimesso con l’aggiunta di ulteriori farmaci, nella speranza di controllare la sintomatologia. Il dottor Kumar riflette su cosa può fare per questo paziente, visto è già stata raggiuta la dose massima dei farmaci antianginosi. Chiede: “cosa posso fare per lei?”. Il paziente risponde che vuole essere rimandato a casa e poi aggiunge “se non avessi più dolore non sarebbe male”. Questo è lo snodo cruciale della storia e di molte visite mediche. Il dottor Kumar sa cosa prevedono le linee guida per affrontare un’angina instabile e che qualunque suo collega consiglierebbe: il ricovero è indispensabile per rivalutare la situazione clinica e per tenere sotto controllo un paziente che ha una situazione cardiaca che può peggiorare. La moglie racconta che nei ricoveri precedenti il marito era rimasto disorientato con un peggioramento della confusione mentale e della agitazione e aveva rinviato il ricorso al pronto soccorso fino a quando i dolori non erano diventati insopportabili. Da una parte c’è un intervento considerato efficace nella maggior parte dei pazienti con caratteristiche cliniche simili e dall’altra un individuo che ha una storia personale particolare. Cosa pesa di più nella bilancia decisionale? Il dottor Kumar propone di rimandare il paziente a casa e di farlo assistere da un servizio domiciliare di cure palliative. “In quel momento – annota Kumar – la stanza è stata invasa da un senso di sollievo”. Nei 6 mesi successivi “è successo qualcosa di incredibile”; il paziente ha cominciato a stare meglio e non ha avuto bisogno di essere portato di nuovo in pronto soccorso. Cosa era successo? Mentre era affidato alle cure palliative veniva visitato da medici e infermieri che si occupavano di lui come persona ammalata e non come un paziente con le coronarie ostruite. Questa è una Medicina Slow: conoscere le linee guida, sapere riconoscere le caratteristiche e la gravità dei sintomi e quali sono i trattamenti raccomandati, ma soprattutto sapere come adattare quelle norme a quello specifico paziente.

Questa storia è stata pubblicata sul Journal of the American Medical Association.
Kumar A, Allaudeen N. To cure sometimes, to relieve often, to comfort always. JAMA Intern Med 2016; 176: 731-2. doi: 10.1001/jamainternmed.2016.1220. PMID: 27110667.

Redazionale
Storie slow. Dall’ideologia alla corsia